Gino Barile: le sue grappe, il suo mondo
Avevo sentito parlare e letto di Luigi Barile, Gino per tutti, in diverse occasioni (la sua storia è ben raccontata da Francesco), avendo anche bevuto , senza rendermene conto, una sua grappa bianca, rigorosamente di Dolcetto, che giaceva in una credenza di casa chissà da quanto tempo. Non l’avevo mai incontrato di persona e non avevo mai visitato la distilleria. L’incontro a Cheese, durante un seminario dove vi erano distillati italiani di eccellenza (e c’era ovviamente anche Villa Zarri) abbinati a formaggi erborinati, è stato di quelli che ti scaldano il cuore o la pancia, proprio come quando si beve un buon distillato.
Gino mi trasmise una grande umanità, una energia per il lavoro e quella sana passione che la sua generazione si porta dietro: quella di aver (ri)costruito qualcosa dal nulla o dalle macerie.
La sua storia è tanto semplice quanto appassionante: negli anni ’70 con il suo caro amico, commerciante di vini, Antonio Bormida (infatti la distilleria si chiama Bor.Bar) si mette in testa di aprire una distilleria. Recuperano la vecchia distilleria Lasagna a Silvano D’Orba nell’alessandrino, una di quelle ancora alimentate a legna, delle quattro che erano in funzione nel piccolo borgo. Purtroppo in questo percorso rimane solo a un certo punto per la perdita dell’amico Bormida (che cita sempre, commuovendosi tutte le volte). Frequenta la Genova di Don Gallo, suo grande amico, e le sue grappe finiscono sulle tavole di presidenti, capi di stato (ad esempio al G8).
Passiamo magari al più freddo tecnicismo, visto che finalmente la distilleria l’abbiamo vista anche grazie a un pretesto: tutti gli anni Luigi Barile organizza una festa nella distilleria, arrivata alla ventesima edizione, approfittando per premiare personaggi della cultura e del giornalismo, che incarnano i suoi valori (quest’anno è toccato a Loris Mazzetti e Massimo Fini) e diventa una vera e propria festa di paese con un bel viavai di persone in un borgo che di anime oramai ne conta poche.
Luigi distilla solo vinacce freschissime di Dolcetto della zona di Ovada (AL). La distilleria è un vero museo della distillazione, un tuffo nel passato, di almeno un secolo, con gli alambicchi a vapore con caldaia scaldat a legna e una gestione rudimentale della distillazione: l’unico strumento che vedrete nella distilleria è un alcolimetro, non vi sono né pressostati e né termometri. I due alambicchi riscaldati a vapore dalla stessa caldaia a legna, vengono portati a temperatura in una settimana (ne servono 2 per raffreddarsi) e l’unico modo per capire se la temperatura è giusta è posizionare la mano sui tubi di rame.
Altra unicità è il fatto che Gino abbia iniziato a maturare in botte (nomen omen) fino dagli esordi negli anni ’70, quando la grappa era consumata bianca (e quasi sempre di qualità infima). Il che vuol dire che troverete botti di grappa di oltre 30 anni, alcune sono di whisky, che arrivavano normalmente al porto di Genova, sede di tantissime aziende di importazione e distribuzione (attualmente abbiamo la Velier e la Moon Import, ma i più appassionati si ricorderanno, ad esempio, della Spirits). Frugando nei magazzini, dove vi incrocerete la presenza di Don Gallo a sorvegliare gli angeli, vi appariranno, tra le altre, una botte di Ardbeg di Samaroli (che Silvano d’Orba fosse una premonizione?).
Dicevamo della festa, che si tiene ad Ottobre in piena campagna di distillazione: quest’anno c’è un lato malinconico della vicenda: il camino non ha sbuffato fumo e i tubi sono rimasti freddi. Gino, pur essendo una persona molto attiva ed energica, ha bisogno di aiuto per distillare e purtroppo quest’anno la persona che di solito gli dava una mano non l’ha potuto fare.
Cosa succedeà nei prossimi anni è difficile da dire, la modernità e l’economia di scala si fagocitano la tradizione, le piccole produzioni e la lentezza. Sarebbe un peccato che questo patrimonio di saperi e di strumenti arcaici andasse distrutto, speriamo che succeda qualcosa di irrazionale: la distillazione, in fondo, ha una sua componente magica.
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