Tequila, la produzione: dall’Agave alla fermentazione
Anche per gli scettici, penso che visitare una distilleria di Tequila sia una esperienza da vivere per qualsiasi appassionato di distillati. Come in altri distillati, la cui popolarità è alta e la domanda in forte ascesa, la produzione comprende un ampio ventaglio di possibilità, sospese tra innovazione e tradizione, industria e artigianato. Partiamo con questo viaggio nella produzione, dalla materia prima fino all’inizio della fermentazione.
La materia prima
Non esiste il Tequila senza Agave. In particolare senza quello Azul, che deve crescere in alcuni stati, tra cui il principale è Jalisco, dove si trova la città omonima. Il primo a classificare la pianta fu il botanico tedesco Weber nel 1905 e l’errore più comune è pensare che sia un cactus. L’Agave Azul viene coltivata nei potreros ma non necessita di particolari cure. Non deve essere irrigata e viene fatta una “potatura” soprattutto nei primi anni di vita, in modo da massimizzare il grado zuccherino, togliendo soprattutto le foglie inferiori.
Esistono differenze tra le varie zone di coltivazione dell’Agave e, ovviamente, dipendono dal clima e dal suolo. Anche per l’Agave si parla di highlands; nella regione di Jalisco è la zona a sud di Guadalajara. Le highlands sono montuose e più fredde e si ottiene, di conseguenza, una crescita più lenta. La mineralità delle piante è superiore mentre nelle lowlands la nota vegetale/erbacea nel distillato è più marcata. La raccolta si inizia circa dal sesto anno di età e i protagonisti sono i jimadores, degli operai specializzati che con il loro arnese affilato, la coa, tagliano e puliscono la parte centrale della pianta, la piña, separandola dalle foglie. La piña può essere tagliata in modi diversi, alcuni produttori preferiscono lasciare qualche centimetro di foglie, ricche di cera, mentre altri fanno una “rasatura” completa. La raccolta avviene tutto l’anno e la piña deve arrivare in distilleria e lavorata preferibilmente entro le 24 ore dalla raccolta. Non esiste nessun macchinario che possa sostituire l’uomo in questa attività.
La cottura
Le piñe vengono immesse all’interno di forni. Nei secoli passati la cottura avveniva su rocce scaldate in forni scavati nel terreno, analogamente a quello che avviene ancora nella produzione tradizionale del Mezcal.
I forni più tradizionali rimasti sono simili a quelli a torba ancora usati, di rado, in Scozia, ma più voluminosi. L’Agave viene stipato all’interno delle cavità e cotto col vapore.
I forni più moderni sono dei grossi cilindri di metallo che vengono chiusi come delle enormi pentole a pressione. La cottura, in entrambi i casi, avviene lentamente e serve per effettuare la conversione dell’amido in zucchero semplice: non deve essere troppo leggera altrimenti l’amido non si converte e nemmeno troppo violenta o gli zuccheri tendo a caramellizzarsi.
Nel metodo più moderno, l’estrazione “soft”, la cottura avviene dopo che la piña è stata ridotta in fibre da un mulino e il mosto estratto tramite acqua calda. Vediamo nel prossimo passo più in dettaglio questo processo.
Il mosto
La produzione della parte zuccherina è una parte fondamentale di qualsiasi processo di fermentazione. Questa fase si è molto evoluta, come del resto è accaduto nella fase di mashing delle distillerie scozzesi. I metodi di estrazione sono molteplici, dal più tradizionale al più moderno:
Tahona: è il metodo tradizionale. Le piñe vengono estratte dai forni e depositate in fosse dove poi vengono schiacciate da enormi mole, una volta trainate da animale, adesso da motori. Le fibre frantumate vengono portate in fermentazione assieme al liquido zuccherino che ne è uscito.
Mulino:la pianta viene triturata da un mulino e trasportata con un nastro e poi irrorata di
acqua per ottenere il mosto. Il mosto viene portato poi nei fermentatori.
Soft Extraction: questo metodo è il più efficiente in termini di estrazione. La piña viene macinata (prima della cottura) e poi passa attraverso un tunnel dove viene irrorata di acqua calda, a circa 85 gradi, in modo da estrarre gli zuccheri. Per effettuare poi la conversione da amido in fruttosio si effettua una cottura del liquido a 120 gradi per 4/5 ore. L’efficienza di questo processo è superiore ai precedenti e si ottiene una quantità di zuccheri superiore. Il liquido ottenuto può essere ora portato in fermentazione.
Alla fine di questo processo abbiamo quindi un liquido ricco di zuccheri semplici, pronti per essere attaccati dai lieviti per la fermentazione (Continua).
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