Lettera al mio giudice
La vita è sempre piena di sorprese, di situazioni inedite, di cambiamenti, di traguardi da superare e di non sempre piacevoli vicissitudini occorse. E’ il bello della stessa e non bisogna opporsi o averne paura. Recentemente raccontavo in un resoconto di un viaggio fatto, come ultimamente mi sentissi inseguito e circondato dagli ossimori. Poi ho scoperto che sono il sale del vissuto e l’ingrediente principale del tempo. E a tal proposito mi sovvengono le parole che un ventennio fa, mi disse un mio datore di lavoro dell’epoca, che ora del tempo eterno fa parte, le quali al momento in una mia piena esistenza razionale, non capii e male interpretai: “La coerenza è il peggior difetto.” A suo modo aveva ragione, e chi si ostina a perseguirla, malgrado il mondo quotidianamente dimostra che non è proposito sincero, avrà difficoltà relazionali ed esistenziali.
Detto questo cosa poteva capitare a uno che per almeno un decennio si è opposto e battuto, scrivendo anche dei polemici e discussi articoli in proposito, circa la non necessità di dare un punteggio a qualsiasi cosa giacché si è nell’impossibilità di essere obiettivi, cosa poteva succedergli se non d’essere chiamato a far parte di una giuria in tal senso? E neppure di una qualsiasi ma di una delle più rinomate, la sezione dello Spirit Selection del Concours Mondial di Bruxelles, che per la sua diciannovesima edizione ha avuto come città ospitante la futura Capitale europea della cultura 2019, Plovdiv, seconda per importanza della Bulgaria. E premetto che, al di là delle mie opinioni personali riguardo al rating, è stata un’esperienza importante, utile, formativa, di confronto e infine emozionale e divertente. Sebbene qualsiasi manifestazione di quest’ordine sia perfettibile, inclusa questa alla quale ho partecipato, ritengo che abbia di gran lunga avuto un’attenzione ad adoperare molti accorgimenti possibili per mitigare le perplessità che sempre ho avuto.
Per cominciare, prima d’accedere alle tre giornate di tasting, la precedente quarta era tappa obbligata alla partecipazione di ben sette masterclass introduttive, finalizzate a far conoscere realtà meno vicine ai giudici che in questa edizione erano 78 provenienti da 25 paesi. E questo non è affatto scontato poiché, sebbene chi è chiamato a farne parte dovrebbe già essere un iniziato a tutti gli spiriti, ognuno di noi ha le sue specializzazioni e qualifiche, e io malgrado abbia assaggiato molti distillati nella mia vita, ben pochi baiju e rakija mi era capitato di fare. Pertanto un punto a favore. Altra notizia positiva è che la degustazione avvenisse la mattina dopo aver fatto colazione. E’ il miglior momento della giornata per fare una sensoriale. Il limite delle 35 degustazioni per mattinata è altro elemento da sottoscrivere, personalmente con il tempo a disposizione che avevamo, quattro ore, le abbasserei lievemente. E anche il fatto di presentare i prodotti in serie denominate flight, divisi per categoria, così avevi possibilità di comparare ad esempio 8 rakija fra loro, 11 baiju, o 7 rhum agricoli, lo ritengo appropriato. La successione nel servizio nel flight, qualora fosse possibile dalle circostanze, dal più giovane al più invecchiato, da quello con minore gradazione alcolica a quello con la più alta, era anch’essa doverosa. I giudici erano molti, e anche questo è positivo, perché giammai posso accettare il giudizio di un singolo individuo, ma non pensiate che tutti assaggiassero tutto. Infatti la complessità della manifestazione, con più di 1300 spiriti in competizione, impone la regola che il singolo prodotto sia testato e giudicato da un solo tavolo composto dai sei, in pochi casi sette soggetti, che saranno i soli arbitri delle medaglie, quella d’argento, quella d’oro e quella speciale d’oro. I tavoli, tranne eccezioni, non prevedevano giudici della medesima nazionalità. Nel mio caso, dove oltre me c’erano un tedesco, un olandese, un polacco, un bulgaro e uno statunitense, come nelle barzellette, sono stato ben fortunato ad aver compagni di degustazione di spessore e un capo tavolo al quale va tutto il mio ringraziamento, Willem Huijsman, destinato all’infelice compito di redimere divergenze e asperità fra noi e che si è dimostrato persona squisita, elegante e misurata nei modi. Naturalmente vien da pensare cosa sarebbe potuto accadere se il prodotto fosse stato giudicato da un altro tavolo e se avesse preso lo stesso una medaglia e quale. Circa la metodologia del rating, andava eseguita tenendo conto della varietà di appartenenza e prevedeva un massimo di 10 punti per la visiva, 30 per l’olfattiva, 40 per la gustativa, 20 per il finale, difetti, armonia e corrispondenza alla tipologia. Su quest’ultimo punto si è aperto un dibattito sulla necessità, io sono fra quelli, d’incrementare i punti a disposizione per quest’ultima voce, sottraendoli agli altri. Difatti, a meno di non fare diversamente come qualcuno ha fatto, un prodotto che eccelle al naso, eccelle in bocca, dovrebbe ottenere massimi punteggi in queste voci. Ma se, pur essendo molto buono, non corrispondesse assolutamente alla tipologia di riferimento, ad esempio un rhum agricolo che ha il sapore di un eccellente cognac, prenderebbe comunque un punteggio alto e non dovuto. Naturalmente poteva accadere ed è accaduto che ci fosse un’ampia forbice nei giudizi dei partecipanti al banco. Per questo la media non era aritmetica, ma non si escludevano neppure il più alto e il più basso, bensì questi si assestavano al voto più prossimo in minore e in maggiore. Una sorta di compattazione che potrà risultare discutibile, perché se il mio voto su un prodotto è di 70, mentre gli altri giudici hanno dato tutti 85 o più, diventerà appunto 85. E così nel senso contrario. Ancora debbo capire se è strumento più democratico di una semplice media, ma ha le sue ragioni di esistere.
Insomma ribadisco che per me è stata esperienza utile e interessante e, malgrado sono ancora convinto della non necessità ad attribuire un punteggio e circa la loro obiettività, spero di continuarne a farne parte ed essere riconfermato poiché se proprio lo si debba fare, un concorso come quello a cui ho partecipato non è affatto male e tutto si è svolto in maniera seria e professionale. Evidenzio solo un ovvietà, alle volte risulta necessario, a chi guarda ai premi. Si giudica solo quel che partecipa a un concorso. Se i migliori distillati del mondo non si iscrivono, non saranno mai premiati. Sembra una stupidaggine ma non lo è affatto e spesso non ci si pensa neppure.
Per concludere, due raccomandazioni a chi si reca in Bulgaria. Il paese è bellissimo e merita una visita alla Valle delle Rose come abbiamo fatto noi grazie a Davide Terziotti e l’instancabile Bruno Pilzer. Ma attenzione: prima di partire fate una scorta per qualche mese di assenza dalla vostra dieta (eccolo un altro ossimoro!) di un ortaggio specifico. Il Cucumis sativus in arte cetriolo, benché di gran più sapore rispetto di quello a cui siamo abituati e altamente digeribile, lo troverete in ogni forma e sostanza, anche celato nei piatti più insospettabili, fino ad averne nausea. La seconda è quella di stare attenti alle congiunzioni e leggere i menù. Potrebbe capitarvi come a noi di vedervi recapitare un gin tonic che di fatto è una limonata, giacché nel luogo in cui stavamo, come descritto nella lista, prevedeva anche un terzo di succo di limone. Diversamente, per ricevere il doveroso, avremmo dovuto ordinare un gin and tonic! Ce li siamo fatti rifare, ma abbiamo dovuto comunque pagare anche i non bevuti. Ma oramai l’abbiamo capito: la coerenza è il peggior difetto.