Villa Zarri, brandy italiano con accento francese
Non so se sia un passo ulteriore verso la saggezza o verso la senilità, tuttavia mi rendo sempre più conto che essere intransigenti e integralisti, soprattutto quando si tratta di “cose buone”, sia un errore madornale e che porti addirittura spesso all’ottusità. Sono stato un giovane spensierato che beveva di tutto (a dire il vero giovane per pochi anni, invecchiando precocemente come gli spiriti nei Caraibi) per poi passare alla fase “Single Malt Scotch Whisky o morte”. Da qualche anno provo a esplorare altri distillati di qualità e sono diventato addirittura indulgente e, a volte, aperto o, addirittura, entusiasta verso la miscelazione. Quando si è prospettata la possibilità di visitare Villa Zarri e incontrare il suo creatore, Guido Fini Zarri, mi è parso del tutto naturale prendermi un giorno di ferie e tornare a Bologna (dove, tra l’altro, ho vissuto la prima parte del mio percorso).
Non vorrei sovrappormi a Thomas, tra l’altro molto più competente in materia, che ha già raccontato bene Guido Fini Zarri e i suoi straordinari prodotti, ma credo sia inevitabile provare il medesimo entusiasmo nel raccontare un artigiano che non cede un centimetro alla realtà dei fatti: i distillati in Italia non funzionano, si consumano poco, non vi è una opportuna competenza, nemmeno per chi dovrebbe promuovere le eccellenze. Una idea quasi folle, produrre un distillato di vino come se ci trovassimo in Francia, unendo i metodi di distillazione del Cognac e artigianalità e i volumi bassissimi dell’Armagnac. Tanto per sgombrare il campo nessuna improvvisazione, Guido proviene da una famiglia di distillatori e ha imparato l’arte della distillazione artigiana direttamente in Francia.
Le soprese arrivando a Villa Zarri si presentano già alla porta; a parte la bellezza dell’edificio del ‘700 e il fatto di trovarsi in un ambiente completamente integro, mi aspettavo di trovare l’impianto di distillazione in un edificio separato dalla villa, invece che praticamente in salotto. Perdonatemi se mi dilungherò un po’ sul discorso produttivo visto che è bello pensare alle differenze e alle particolarità, soprattutto in rapporto al mio distillato preferito.
Materia prima
Guido distilla solo fermentati di uve di Trebbiano emiliano-romagnolo che hanno la giusta acidità per sopportare lunghe maturazioni. Esperimenti effettuati con vitigni più aromatici hanno portato risultati non all’altezza. La fermentazione delle uve porta a un “vino” di circa 5/6% Vol.
Distillazione
Come da tradizione del cognac, alambicco Charentaise scaldato a fuoco diretto (gas naturale). Unica concessione alla modernità, la gestione delle curve di temperatura avviene in maniera totalmente automatica e il distillatore può concentrarsi sulla parte di tagli di teste e code: la fiamma e le temperature vengono regolate da un computer istruito a dovere da Guido.
Guido distilla ogni partita di fermentato, che potremmo definire in modo improprio una Cru, in maniera separata. A ogni distillazione sa perfettamente quindi che la botte Y contiene il distillato proveniente dal conferente X, e quindi può preservarne le caratteristiche, e modularle sapientemente quando andrà a fare l’assemblaggio. La doppia distillazione del brandy (cognac) ha differenze molto evidenti da quella de whisky. La prima differenza di impianto è che c’è un solo alambicco: vengono effettuate tre “prime” distillazioni per riempire l’alambicco per la seconda: la capienza è di 2500 litri, di cui circa 300 sono teste e code reimmesse nel processo. Altra differenza è sui tagli: nel whisky durante la prima distillazione le teste e le code non vengono separate ma tutti i low wines finiscono in seconda distillazione; in questo caso già durante la prima distillazione vengono separate teste (che rilasciano aromi più gradevoli di quelle provenienti da fermentati di cereali ) e code che vengono separate e poi reimmesse in distillazione. Dopo aver prodotto una quantità sufficiente di brouillis (l’equivalente dei low wines nel whisky) per caricare l’alambicco per la seconda distillazione , si ricomincia e ovviamente si effettua ancora il “taglio” del distillato; abbiamo una ulteriore differenza nella gestione delle code, che vengono suddivise in due parti: una parte che viene considerata utile per arricchire il brouillis alla prossima distillazione e si chiama secondes; la rimanente viene reimmessa per essere distillata ancora due volte. Il distillato che viene prodotto per la maturazione viene chiamato dai francesi la bonne chauffe.
Schematizzando (fase della distillazione – destinazione):
- Prima distillazione (produce il brouillis, circa 25% vol)
- teste – prima distillazione
- cuore – seconda distillazione (brouillis)
- code – prima distillazione
- Seconda distillazione (produce il distillato per la maturazione, circa 72% vol)
- teste – prima distillazione
- cuore – distillato per la maturazione
- seconde– seconda distillazione
- code – prima distillazione
Maturazione
Vengono utilizzate solo botti di legno francese di 350 litri, come sarebbe da tradizione del Cognac. Non vengono usati né coloranti, né zuccheri, né boisé (un intruglio segreto a base di legno utilizzato da molti produttori francesi). Il distillato viene messo a gradazione piena (oltre i 70 gradi) nelle botti nuove per un anno. Dopodiché viene abbassata la gradazione alcolica (diminuendone quindi l’estrazione dal legno) di circa dieci gradi e travasate in botti già usate. Non vengono
messi in commercio prodotti con meno di dieci anni di maturazione (come per gli Scotch, l’anno indicato in etichetta è quello del distillato più giovane presente nell’assemblaggio). Guido aggiunge acqua molto lentamente e lascia riposare per molte settimane per far “sposare” l’acqua col distillato e lo porta molto lentamente alla gradazione di imbottigliamento, generalmente attorno ai 43/44%.
Prodotti
Come detto non esistono in commercio prodotti con meno di dieci anni. Come sempre molto didattico l’assaggio del distillato bianco (in cui ho ritrovato anche io note frutta rossa) e di campione di botte, che nasconde anche il fascino della suggestione. Abbiamo avuto la possibilità di provare praticamente l’intera gamma disponibile sul mercato: 10 anni, 12 (2002) anni con affinamento in botti ex-Marsala, 16 anni, 21 anni (1988), un 22 anni, 23 anni con tabacco toscano in infusione, un 25 anni non ancora in commercio e tre a grado pieno (19, 20 e 21 anni) che per i “whiskysti” magari sembra una cosa ovvia, non lo è per niente nel mercato dei distillati di vino.
L’unico che ho fatto fatica ad approcciare è il 23 con le foglie di tabacco, studiato apposta per l’abbinamento col sigaro toscano e quindi poco adatto a una degustazione in purezza. Suggerirei il 16 anni per chi si approccia per la prima volta a questi prodotti, il 22 per chi è un appassionato di cognac e il 12 affinato in botti di Marsala per chi vuole delle note insolite ma che rendono il distillato molto godevole. I grado pieno sono completamente diversi uno dall’altro e potrei definirli l’anello di congiunzione col mondo che conosco meglio. Il resto lo farei valutare al vostro naso e al vostro palato, sperando vi sia venuta voglia di metterli alla prova.