Spirit of Scotland 2015 secondo me
Dopo tre giorni impegnativi allo Spirit of Scotland, il ritorno alla routine e, soprattutto, dopo aver fatto passare alcune ore per far decantare ossa, tessuti e muscoli, faccio il consueto consuntivo di questa esperienza, vissuta anche quest’anno molto più da fornitore che da consumatore.
Condivido i punti schematicamente ben illustrati dai ragazzi di Whisky Roma; in tanti hanno evidenziato sicuramente la maggiore funzionalità del nuovo spazio versus il maggior fascino e centralità del precedente. Frequentando Roma ultimamente solo saltuariamente non so dire se lo spostamento sia positivo o negativo in termini logistici, parcheggi a parte, e se l’EUR intercetti maggiormente i flussi di potenziali visitatori. Non so nemmeno se una realtà articolata come Roma si possa inquadrare in schemi predefiniti, essendo, come tante metropoli, una donna bellissima e volubile. Personalmente posso sicuramente dire che l’organizzazione ha avuto pochissime sbavature ed è stata all’altezza di una così complessa macchina infarcita anche di novità non di facile gestione, come lo shop. Altre considerazioni fatte all’organizzazione da “espositore” non sono rilevanti in queste righe e spero servano a migliorare le prossime edizioni.
Da dietro il banco posso fare solo rilevazioni qualitative, basate quindi su impressioni, non a vendo ancora a mano “i conti”:
- Mi sembra ci fossero molti più giovani degli anni passati.
- Sono calati gli stranieri, negli anni passati soprattutto al Sabato erano una parte rilevante.
- Se da un lato pub e giovani mi sembrano molto “assetati” di conoscenza, dall’altro lato ho l’impressione che ci sia ancora una grossa carenza tra molti professionisti del settore, soprattutto sommelier, che approcciano il distillato come se fosse un vino e in molti casi non accettano di buon grado i consigli. Personalmente ritengo molto sbagliato da un punto di vista degustativo bere un sorso di whisky senza deglutirlo, perdendo buona parte delle sensazioni retronasali che sono fondamentali per il whisky. Detto anche che un festival non è l’ambiente ideale per fare chissà quale degustazione tecnica.
- La giornata per i professionisti del settore ha coinvolto un buon numero di persone, con masterclass tutte piene e credo oltre 600 partecipanti. Per la nostra realtà di appassionati probabilmente non è un grandissimo valore aggiunto ma penso che per le grandi aziende ci sia stato un buon riscontro. In ogni caso contaminare un po’ il chiuso mondo del whisky credo comunque faccia bene per ampliare il pubblico.
- Ovviamente, a costo di ricoprire il tutto di melassa, è bello rivedere tante facce amiche, venute anche da lontano, tanti “colleghi” blogger dietro e davanti al banco.
Per quel che riguarda “l’angolo degli intrusi”, composto dal vicino banco di WhiskyClub Italia, unici non professionisti del settore e catalizzatori di caos, gruppetti di agitatori, fornitori di cibo, di simpatico frastuono e disordine, possiamo spendere qualche parola nello specifico.
Ovviamente i torbati spopolano ancora, e l’angolo della torba è stato come sempre preso d’assalto. Grande interesse per i prodotti giapponesi che avevo in mescita, che hanno surclassato in termini di “gettoni” gli scozzesi. Tanti si approcciavano avendo sentito parlare del vincitore della Whisky Bible e chiedendo lumi. Mi fa sicuramente piacere che anche i “miei” due Glenturret, così diversi tra di loro, siano piaciuti.
Per caso e forse per affinità eravamo vicini alla Scottish Craft Distillers Association, con la presenza di Tony Reeman-Clark, fondatore di Strathearn, davvero una persona piacevole, disponibile e generosa. I piccolini crescono, soprattutto nel settore gin, e ci dobbiamo aspettare a breve almeno una trentina di realtà micro in Scozia.
L’unica masterclass a cui ho partecipato, quella di Hunter Laing, è stata molto piacevole e interessante, con Fabio Ermoli e Scott, giovane rampollo della famiglia Laing. Credo che mancare questi appuntamenti di respiro sempre più internazionale sia un peccato. Se non avete partecipato a nessuna, fateci un pensiero per i prossimi eventi.
Purtroppo ho potuto bere ben poco in giro, a parte l’autoconsumo, con anche i nuovi arrivi del WhiskyClub Italia. Ricordo con piacere gli Highland Park di Cadenhead’s e l’imbottigliamento ufficiale del festival; il Bruichladdich 11 di Le Bon Bock; il Ben Nevis e il Glen Scotia di High Spirits; il single cask ufficiale di Glenlivet.
La sensazione e la speranza è che questo cambio molto importante di sede, che sicuramente è stato molto impegnativo, si possa rivelare un investimento per il futuro. Non credo ci si possa illudere di arrivare a coinvolgere in modo veloce e indolore migliaia di persone dopo sole quattro edizioni ma che ci sia una strategia e un chiaro piano di crescita.
Guardando anche al festival di Milano, che raggiungerà quest’anno la decima edizione, la crescita è in alcuni anni lenta e in altri molto forte, ma in un segmento di (ultra)nicchia come quello del whisky è certamente molto importante lavorare tutto l’anno sul territorio con tanti eventi e coinvolgento le varie realtà. Credo che il primo ambiente su cui fare leva sia il mondo dei pub, pieno di ragazzi giovani che si stanno entusiasmando alla birra di qualità e che sono naturalmente attratti anche dal mondo del whisky. E questo lavoro è già iniziato e speriamo porti tanta altra gente al festival e ai locali.
Grazie a Corrado per le foto.
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