Visita alle distillerie Branca
Ci sono delle perle nascoste a pochi passi da casa, addirittura nel tragitto che ti porta al lavoro tutti i giorni, dalle parti di Viale Jenner, accedendo manzonianamente da Via Resegone. I profumi che si sentono da quelle parti danno l’idea che ci sia qualcosa che “bolle in pentola” e, anche per questo, da diverso tempo mi sarebbe piaciuto visitare la Branca, azienda storica e guidata dalla stessa famiglia che la fondò nel 1845. La gentilezza della Branca e delle persone simpatiche ed efficienti che si occupano della comunicazione, unita ad un evento speciale, l’inaugurazione della piccola ma molto bella mostra fotografica Liquid Vision di Giuseppe Mastromatteo, mi hanno fornito un perfetto pretesto per andare fuori linea editoriale facendo una piacevole visita serale.
Devo dire che il mio snobismo da appassionato del distillato più buono del mondo, e di conseguenza lo scetticismo, che si trasforma in sorpresa e poi in entusiasmo potrebbe farvi pensare quasi a un cambio di bandiera, invece è solo la visione di nuovi orizzonti e di apprezzamento per le cose fatte bene. E’ un po’ come quando non ami molto un artista musicale e la sua musica, ma ne apprezzi comunque le doti.
Intanto diciamo che non si tratta più di una vera e propria distilleria: il distillato, sia per fare i liquori che per fare stravecchio e grappa, viene quasi completamente acquistato da vari produttori in giro per l’Italia e poi assemblato o aggiunto agli infusi. Ma questo non ha fatto calare la mia sopresa nello scoprire comunque che per fare il vero e unico Fernet, quello col trattino unito alla parola Branca, di cui io non sono certo un appassionato, si usano 27 tra erbe, fiori e spezie. Ma non sono erbe che si fanno vedere o di dichiaramo per marketing, sono vere, viste coi miei occhi in grossi sacchi in quello che chiamano “il caveau delle spezie”, e non dei surrogati o degli aromatizzanti. Quindi dicevo, vedendo all’esterno e pur sentendo piacevoli profumi uscire dalla fabbrica, non mi aspettavo di fare certe scoperte.
Il primo tesoro, il museo permanente che occupa un grande spazio al primo piano, in cui troviamo cimeli di ogni genere, da alambicchi dismessi, a manifesti pubblicitari, a strumenti di lavoro di un tempo. Interessante una sezione in cui sono state raccolte tutte le imitazioni del Fernet-Branca, quasi tutte miseramente fallite. Il tutto ben curato e molto accessibile e spiegato benissimo dal curatore Marco Ponzano. Nello stesso spazio è ospitata la mostra fotografica di cui sopra, piccola ma molto carina e con un ottimo catalogo.
Il secondo tesoro, la produzione e le erbe. Si perché io da scettico pensavo che oramai essenze e surrogati avessero preso il sopravvento nella produzione di liquori al caffé, fernet e vermouth; invece qua le usano davvero. Nel caveau ci sono veri sacchi di caffé, camomilla, macis, zafferano iraniano, stecche di vaniglia del Madagascar, l’artemisia absinthium per il Vermouth e tante altre costose materie da infusione da tutto il mondo. Proprio il macis, ad esempio, è una spezia talmente preziosa che potremmo dire che è una delle cause che ha spinto l’uomo alle esplorazioni via mare di fine ‘400 per cercare una rotta alternativa alla via di terra, bloccata dopo l’espansione turca e la caduta di Costantinopoli; questa digressione ovviamente è per vantarmi ma anche per consigliarvi queste due letture, nel caso siate interessati: G. MILTON, L’isola della noce moscata e J. KEAY, La via delle spezie. Ho parlato a lungo con Luciano Peretti, gentilissimo e disponibilissimo direttore alla produzione, un signore piemontese che ha lavorato alla Carpano prima che fosse chiusa e trasferita qui a Milano, e che ha spiegato per una buona mezz’ora (mentre tutti se ne erano andati) come vengono trattati gli infusi di erbe e come vengono assemblate grappe e stravecchio. In pratica, proprio per la delicatezza di queste erbe e spezie, molti degli infusi vengono fatti separatamente aggiungendo acqua a circa 90 gradi, e poi stabilizzati con alcool di cereali prodotto con alambicchi a colonna di aziende in prevalenza piemontesi. Stesso discorso per il Vermouth Carpano e il Punt e Mes Carpano. La miscela delle spezie per il Fernet non è segreta ma solo un membro della famiglia Branca effettua la “pesatura” di 5 erbe e spezie delle 27 che vengono aggiunte. Per la produzione di grappe (es. la Candolini) e brandy (Stravecchio) vengono acquistati prodotti in giro per l’Italia e poi assemblati alla Branca da un panel di degustazione/qualità. Interessante anche la produzione del famoso Caffé Sport Borghetti, il vero liquore da stadio: si usa vero caffé, si macina e si utilizzano enormi caffettiere con metodo napoletano, prima di aggiungere alcool. Anche qua niente estratti o caffè solubile. Nota a margine, tenete conto che il “vermouth” più famoso al mondo non è più un vermouth ma la gradazione alcolica è stata abbassata a 14 gradi facendolo diventare per la legge “vino aromatizzato”. Il tutto anche per risparmiare sulle accise.
Il terzo tesoro sono le cantine e le botti. Mai avrei pensato che il Fernet stesse 1 anno in grosse botti di rovere di Slavonia; ok basta leggere il sito ma non essendo per niente appassionato del prodotto non era molto di mio interesse. Però la cosa più impressionante è la botte madre (potete farvi una idea della dimensione dalla foto) dove nascono i brandy di casa, tra cui il famoso Stravecchio Branca e anche il nuovo Magnamater uscito per festeggiare i 120 anni della botte. La botte come detto ha 120 anni, ha una dimesione di 6 metri per 6 e mi pare di ricordare contenga circa 88.000 litri. La botte rimane sempre piena per almeno 1/3 quindi, anche se in minima quantità, di fatto ci sono ancora piccole porzioni di brandy centenari al suo interno. Per celebrare la madre di tutte le botti, ci è stato offerto un calice di Magnamater; devo dire che considerato il costo di circa 12 euro a bottiglia, è un prodotto di tutto rispetto: abbastanza intrigante al naso con sentori di uva passa, marzapane, panettone, liquerizia, toffee. In bocca non è poco tannico, abbastanza secco e perde in complessità rispetto all’olfatto ma ha una buona bevibilità (sicuramente è stato anche un po’ penalizzato dal freddo della cantine). Come per lo Stravecchio a 8 euro, anche per il Magnamater credo si faccia fatica a bere di meglio a quel prezzo. Ah, dimenticavo, l’angels’ share (evaporazione del distillato) è del 7%, fate voi il calcolo su 88.000 litri quanto se ne va ogni anno. Altro che PM10.
Sto provando a vedere se si riesce a organizzare qualcosa, se siete interessati a una visita fate sapere.
Se volete andare individualmente questi sono i dettagli.
Distillerie Branca
Via Resegone 2, Milano
02 8513970 – 02 86971966
collezione@branca.it – www.branca.it –
Aperto solo per visite guidate (anche in lingua straniera) e su appuntamento, lunedì, mercoledì, venerdì alle 10 e alle 15; chiuso in agosto.
(foto Ufficio Stampa)
Zafferano iraniano? Grandi, è il migliore.
soprattutto, da quello che mi dicevano, e’ l’unico (che da apporti di una certa qualità) presente in quantita’. Altri zafferani che hanno testato (es turchia) erano abbastanza inutili.
che botta di botte! il nostro bel paese è pieno di cose interessanti, ci si può davvero appassionare di tutto una volta che si conosce la passione nascosta nel sistema produttivo. abbasso le guide 🙂
Aggiungo, che mi sono dimenticato, che l’angels’ share li sotto e’ del 7%