Del perché Bruichladdich è la distilleria più innovativa
E’ tanto tempo che volevo fare un po’ di analisi su Bruichladdich, anche se ne ho parlato spesso, e sul suo modo di fare “comunicazione” in senso ampio, includendo anche quelli che sono i prodotti e non solo come vengono presentati. Non avendo mezzi intellettuali per fare analisi di marketing scientifiche o comparative serie, mi baso solo sulla mia modesta esperienza e percezione di quello che è adesso il mondo del whisky. L’incontro con Jim McEwan di qualche mese fa é stato decisitvo e l’ultimo spunto mi è stato dato da un articolo sul loro blog, e da quello partiamo, in modo del tutto destrutturato.
Confronto/emulazione con altre eccellenze del beverage
Sappiamo bene comunque quanto i francesi siano bravi nel comunicare le loro eccellenze, tanto che noi italiani per anni abbiamo vissuto complessi di inferiorità su alcuni settori tipo i formaggi, scoprendo poi di averne di più di loro. Comunque non divaghiamo. Non sono un esperto di vini (qualcuno potrebbe dire nemmeno di whisky) e quindi prendo praticamente per buono quello che c’e’ scritto riguardo i “grand vin” e su come vengono prodotti. Faccio comunque una piccola sintesi dell’articolo per gli anglofobi e i pigri. I “grand vin” di Bordeaux, i famosi chateau, si chiamano “grandi” non per una questione di marketing e di grandeur ma hanno un riferimento a come sono prodotti e sono l’assemblaggio sapiente di “piccoli” vini e cioé di vinificazioni fatte separatamente (quindi non uve mischiate ma veri e propri vini praticamente fatti e finiti). Quindi trenta o quaranta “piccoli” vini assemblati fanno un “grande” vino. Bruichladdich allora ha preso spunto per paragonare i propri whisky provenienti da diversi produttori di orzo come se, appunto, avessimo tanti “piccolo whisky” che poi vengono assemblati nel “grande whisky”. Nel 2011 sono stati infatti distillati dei mosti prodotti con 12 qualità differenti di orzo provenienti da 26 diverse fattorie. Le varietà e i vari batch sono stati distillati separatamente e possono quindi essere assemblati in modo molto vario dal master blender. Questo sottolineare le diversità di operare rispetto all’industria attuale, che usa praticamente una varietà di orzo (la più redditizia) e che tende a standardizzare la produzione. Terroir quindi, anche se non so come si dice in gaelico,
Artigianato VS Industria. Diversità VS Standardizzazione
Agganciandomi al punto precedente, la produzione del whisky che si è mossa da una dimensione artigianale a una industriale ha sicuramente prodotto cose poco piacevoli. L’uso di materie prime tutte uguali (orzo, lieviti) per massimizzare la produzione di alcool, ne é un esempio. Per non parlare dell’uso dei legni. I ragazzi di Bruichladdich sottolineano sempre queste differenze, facendosi spesso burla della SWA, la confindustria del whisky, dominata ovviamente dai giganti Diageo, Pernod e Grant. L’utilizzo di materie prime non standardizzate e il loro utilizzo, anche da un punto di vista della comunicazione, é molto ben calibrato. Pensate all’utilizzo del termine “organic” (biologico) che, seppur già abusato, ha un forte impatto sui consumatori che ricercano sempre più il “cibo sano”. Trattasi di innovazione per modo di dire, di recupero alla fine di antiche usanze, quello che viene chiamato innovation by regression.
Marketing/comunicazione
La distilleria usa tecniche aggressive. Già lo slogan della distilleria é “Progressive Hebridean Distillers”. Un accento forte sull’innovazione (progressive) e legato al territorio (Hebridian). Se andate nella sezione di presentazione della distilleria, ritroverete tutti gli elementi che vi dicevo. Innovazione, tradizione, legame col il territorio, diversità dall’industria, uso di materie prime diversificate, artiginalità, territorio, autarchia. Tutte parole chiave sottolineate anche da Jim durante la sua “lezione”. L’uso poi dei social network (twitter in particolare), del web é comunque sapientemente dosato e spesso aggressivo e provocatorio. Mark Reynier, il managing director, lancia spesso delle “bombe” sia sul blog che via twitter. Qualche giorno fa ipotizzava una sorta di “secessione” di Islay da UK con un modello simile all’Isola di Man, cioé sempre sotto la corona inglese ma con un regime fiscale autonomo e molto più da “paradiso”. O un ritorno alla dominazione “vichinga”.
An idea: if Scotland leaves the UK, Islay could leave Scotland & become, like the Isle of Man, a UK crown dependency & tax haven…or revert to Norway, the previous owner. The ‘Scotch’ appellation would have to go (and SWA) but ‘Islay Whisky’ would be a fine instead. After all, the Queen would still be head of state for the island as current holder of the title Lord of the Isles. Islay estate owners could repatriate their wealth to Islay under favourable new tax regime; corporation tax replaced by direct whisky tax.
Ovviamente tutto questo non ha solo motivazioni sentimentali o idealistiche. La distilleria 10 anni fa era in rovina e il management dell’azienda aveva sicuramente la necessità di rilanciarsi in tempi brevi sia per fare progetti a medio e lungo termine, sia per gestire la quotidianità (leggasi stipendi) e gli investimenti per rilanciare l’azienda in termini di immagine ma anche di qualità di prodotti. Il lancio di tantissimi prodotti, tanto che si fa fatica a starci dietro, e anche di “provocazioni” quali Octomore (che comunque ritengo un miracolo di equilibrio e non una “porcheria” come altri prodotti concorrenti…) lo dimostra. Questi imbottigliamenti frequenti e in molti casi in serie limitata con prezzi appetibili dai collezionisti servono quindi anche per fare cassa, non ci dobbiamo certo scandalizzare, é il business bellezza. Non credo che mi chiamino per fare il docente di marketing alla Luiss, preferirei comunque coltivare l’orzo per Jim e Mark.
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